Kwaidan - “Make All The Hell Of Dark Metal Bright”

È innegabile come, il più delle volte, nella musica si senta il bisogno della sottrazione, e quasi mai di annessione o allargamento dei confini creativi per mezzo di aggiunte o arricchimenti dell’apparato strumentale. Per togliere, occorre prima aver aggiunto, e se ai Locrian sfilassimo quel minimo di forma-canzone rimasta sull’ultimo, splendido “Return To Annihilation”, se sottraessimo alla chitarra il suo ruolo di perno creativo e se minimizzassimo l’apporto della melodia così stranamente preponderante sull’ultimo lavoro del terzetto di Chicago, avremmo i Kwaidan.
Di nuovo un trio - Neil Jendon ai sintetizzatori, André Foisy (Locrian) alle chitarre e tastiere e Mike Weis (
Zelienople) alle percussioni – ma stavolta si resta in silenzio e a muovere le fila provvede la sola musica.

Già, quella. “Make All The Hell Of Dark Metal Bright” è un composto strumentale diviso in due fasi distinte. Le prime tracce costituiscono un trittico senza soluzione di continuità in cui a farla da padrone sono le percussioni e le loro distese ritmiche, su cui si muove un accenno di post-rock frenato da estetiche che sono tipiche dell’ambient.
Il risultato è una suite dalle tinte scure a tratti reminiscenti di esperimenti come quello dell’ottimo, omonimo esordio dei Bordel Militaire senza la componente cocktail ma con dinamiche ritmiche similmente soffuse e penetranti.

La seconda parte ha invece nei droni di chitarra, negli inserti rarefatti di piano (“The Iceberg And Its Shadow”) e nei riverberi un suo percorso estetico che allontana ulteriormente i Kwaidan dai territori battuti dagli ultimi Godspeed You! Black Emperor di “Allelujah! Don’t Bend! Ascend!” o dai canadesi Set Fire To Flames, in uno sfogo introspettivo come la loro splendida "Déjà, Comme Des Trous De Vent, Comme Reproduit" su “Telegraphs In Negative/Mouths Trapped In Static”.
Il secondo trittico si sposta dunque su territori più “tradizionali” mantenendo un certo andamento in cui l’idea di sottrazione diviene l’ossessione attraverso la quale i Kwaidan modellano un post-rock a tratti primitivo ma non per questo meno efficace. Dove la melodia è il risultato dell’interazione tra le varie componenti e non l’espressione di un’unità a discapito delle altre.

I Kwaidan non reinventano la ruota, ma giocano - con sapienza – con le poche risorse che si concedono di usare. “Make All The Hell Of Dark Metal Bright” è un elegante insieme che, a partire dalle elettroniche di Neil Jendon per finire alla “giusta misura” profusa dalla chitarra di Foisy, non cade nella facile (facilissima) tentazione di indulgere in espedienti banalmente pregni di retorica finto-nichilista.
Un'ambient che si affidi ai droni non deve per forza di cose rifarsi a tematiche senza vie d’uscita, a morte e sconfitta come figure retoriche su cui poggiare l’impianto estetico dell’album. Al contrario, la musica dei Kwaidan è più semplicemente un suono nudo, puro che non ha un fine se non quello di rappresentare se stesso. La privazione è anch’essa un suono.

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