The Shak & Speares - “Dramedy”

Con quell’inglese un po’ così, quell’andatura un po’ così che hanno loro che sono nati a Pompei, “Dramedy”, album sospeso tra un punk rimesso a nuovo e un folk datato ma fresco, non poteva che centrare l’obiettivo. Se avevate apprezzato lo sbilenco debutto di poco meno di un anno fa, e se restate dell’idea che esista una via italiana al folk-punk, benvenuti siano i vostri pregiudizi, perché qualcosa ribolle ancora, a Pompei, dietro il ciottolato, le cartoline e gli scomodi avi immobili al riparo dal moderno. Gli Shak & Speares (nome furbescamente orrendo, lo so) fremono per infilarci di tutto, nei 25 minuti scarsi di “Dramedy”.

C’è quello che, a ragione, loro chiamano folk-agreste, ci sono i Gogol Bordello (meno il ridicolo circo), i Golem e, di striscio, quasi nascosto, un indie americano (qui citammo i Modest Mouse e lo rifaremmo volentieri se non fosse che sarebbe un gesto poco elegante) che non fa mai male. Eppure, viene da dire, gli Shak & Speares trovano una loro via nonostante le scomode amicizie (Vic Godard degli – ahinoi – seminali Subway Sect) e le ovvie influenze, e lo fanno senza porre barriere di sorta a un sound che, di suo, è la quintessenza stessa del compromesso.

I Balcani, gli Appennini, il Mar Tirreno, quello d’Irlanda, Camden Town e Via Roma a Pompei: il mondo in meno di mezz’ora e pochi fronzoli. È una musica che scorre tra diramazioni acustiche (“Criminal Prayer”) e peregrinazioni western (“No Prey, No Pay”) restando ferma su capisaldi artistici ben piantati per terra. In un posto non meglio precisato tra il 1977 e i Campi Flegrei.
"Courtney In Dead", ad esempio, è ital-pop estivo rivisto e plagiato dal punk; un improbabile tormentone estivo per cui deve ancora nascere il juke-box giusto. “Sailor’s Promise” è fondamentalmente una pizzica diluita nell’estetica pop, una melodia nervosa che si piega alla metrica anglosassone. Con garbo, stile e originalità.

Se salti pindarici non se ne possono fare – e d’altronde se si ha la giusta pretesa di suonare un derivato del punk, l’immediatezza è un bisogno più che una necessità – allora ben venga la ripetizione di schemi che hanno fatto la fortuna dell’esordio “Gagster”. Poco coraggiosi? No, al contrario: temerari. Perché tornare sul luogo del delitto perfetto è un atto rivoluzionario. Specie se lo si fa cantando spensierati. E che non ci si venga a dire che gli italiani non sanno più sorridere.

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