Marcin Wasilewski Trio - “Faithfull”
Se il predecessore "January" attestava l'effettiva valenza di un nuovo fenomeno in ambito jazzistico, il nuovo "Faithful" ne conferma le doti e il talento ad un livello, se possibile, più alto. L'hype che circonda il trio polacco basterebbe da solo a scoraggiare un moto di genuina curiosità e interesse, relegandolo a semplice meteora del firmamento musicale, eppure così facendo rischieremmo d'ignorare uno sforzo artistico sicuramente al di sopra di una media orfana, ultimamente, di grandi uscite a livello qualitativo.
Dicendo che il Marcin Wasilewski Trio sposta i confini del proprio jazz equivarrebbe a confermare un'ovvietà già espressa in maniera intrinseca da una carriera ventennale fatta di evoluzioni e collaborazioni. D'altronde, con un mentore come Tomasz Stańko è oltremodo difficile riposare sui comodi allori di una facile ascesa in termini di vendite. Ciò che non è banale è invece un album come "Faithful", che riporta la Ecm ai fasti jarrettiani di "Facing You" e "Luminessence", attraverso un equilibrio compositivo direttamente proporzionale ai rischi presi nel citare musicalmente nomi come, appunto, il pianista di Allentown o Chick Corea.
Sostenere inoltre che il Marcin Marcin Wasilewski Trio fa un passo oltre i confini disegnati dai nomi di cui sopra sarebbe errato, ma l'impronta lievemente (e coraggiosamente) contemporanea di una tale uscita fa certamente ben sperare per il futuro.
Il passato, per ora, ci parla da una splendida rielaborazione di un successo del 1942 di Hanns Eisler (indimenticato allievo di Schoenberg affascinato dal jazz e dal cabaret) con una "An Den Kleinen Radioapparat", investita di un profondo lirismo che stabilisce i contorni introspettivi del resto dell'album. Si stendono così le basi di un leitmotif che vedrà il piano di Wasilewski dialogare con il basso di Slawomir Kurkiewicz e la batteria di Michal Miskiewicz su più livelli: dalla spettacolare eleganza di "Mosaic" ai colori di "Song For Swirek", per passare attraverso le rielaborazioni di classici del passato.
Classici che, come la celeberrima "Big Foot" di Paul Bley (già su "Paul Bley with Gary Peacock" uscito per la stessa Ecm nel 1970) assumono un nuovo respiro nella loro intricata concezione di un jazz dal sapore vintage, rivisitato con un gusto e un'estetica del tutto contemporanei.
L'eclettismo (materiale questo alquanto raro tra gli esponenti di spicco del jazz moderno) del Trio si manifesta in tutto il suo incosciente ardore nel contrasto tra il vero e proprio marchio di fabbrica dell'ensemble polacco (una "Night Train to You" in 6/8 e 11/8) che cita apertamente Oscar Peterson, oltre al solito Jarrett) e due ballate rese in maniera magistrale. "Ballad of the Sad Young Men" di Fran Landesman e Thomas Wolf e una poco nota "Faithful" di Ornette Coleman chiudono un cerchio perfetto che ragionevolmente e idealmente sembra circoscrivere un album dagli straordinari contrasti.
Il problema solito e principale, quando si tratta di orbite che si chiudono, è pero' quello della quasi totale assenza di rischio, di un bilanciamento che non permette una deriva compositiva che compensi l'eleganza della composizione. Ma è un problema diffuso, e farne una colpa a questo "Faithful" sarebbe pratica pericolosamente fuori luogo.