The Golden Circle - “The Golden Circle”

Il percorso che separa il tributo dall'ispirazione è più arduo di quanto si possa immaginare e, al contrario di molti altri processi creativi, non è quasi mai unidirezionale. Ci si può lasciare trasportare dagli stimoli suggeriti da una mente particolarmente fertile e porre le basi di un’opera mediocre e sublime. Oppure si può creare gettando uno sguardo disinvolto, di tanto in tanto, al preesistente, trovandovi un appoggio creativo che diventi espressione implicita nel nuovo. L’operazione dei Golden Circle, invece, dà l’impressione di essere un elegante ibrido che si pone come mediazione tra due epoche distanti tra loro: la contemporaneità della seconda decade del millennio e il futuro prossimo di Ornette Coleman. Un Coleman che, nel 1965, bucava il silenzio con due serate al Golden Circle di Stoccolma, immortalate in uno splendido doppio album che segnava anche l’esordio su Blue Note.

Rosario Giuliani (sax), Fabrizio Bosso (tromba), Enzo Pietropaoli (basso) e Marcello Di Leonardo (batteria), dicevamo, presentano otto tracce del repertorio  del genio texano, più tre inediti (“For Ed Blackwell” di Pietropaoli, “The Golden Circle” di Giuliani e “Caffeine” di Di Leonardo) che sembrano compenetrare il tessuto storiografico di cui l’album è espressione. Introdurre tracce come “Congeniality”, “Ramblin’” o “Peace” sarebbe operazione inutile quanto fuori luogo, e il quartetto italiano non fa nulla per nascondere come a interessare qui, ora, non sia la mera riproposizione dei successi di Coleman, bensì l’esplorazione (con annesso un processo di rispettosa rielaborazione) delle origini della new thing colemaniana. Ma a farla da padrona non è la nostalgia per la rivoluzione, quanto piuttosto una rappresentazione della stessa, ovviamente filtrata dall’esperienza accumulata dai quattro musicisti. Rosario Giuliani e Fabrizio Bosso, ad esempio, ex-enfant prodige del jazz europeo, sono oggi realtà che annoverano collaborazioni con Franco D’Andrea, Phil Woods e Randy Brecker, tra gli altri. Mentre Enzo Pietropaoli e Marcello Di Leonardo, dopo le collaborazioni con Danilo Rea e la grandissima Maria Pia De Vito agli esordi, hanno saputo costruire una carriera che li pone al di sopra di ogni possibile sospetto.

Come si riproduce il free jazz? Esiste un canone artistico, un paradigma espositivo su cui fare leva per tentare le ri-creazione di un atto che, per sua stessa definizione, è unico? No. Non nei parametri che applichiamo ad altri generi. La cifra artistica del quartetto è, dunque, nella mediazione che offre, e Giuliani, Bosso, Pietropaoli e Di Leonardo applicano un codice comportamentale che li rende attenti ai principi del brano, ma al contempo liberi di scivolare lungo altre direttive. È, ad esempio, il caso di brani fluidi come “Chronology” o “Invisible”, in cui il quartetto non molla la presa storica pur pescando nel repertorio del nuovo jazz europeo. Prova, semmai ce ne fosse ulteriore bisogno, della contemporaneità di Coleman e del suo suono.

Un lavoro da cui non è possibile prescindere se si è alla ricerca del punto della situazione del jazz nostrano (forse una storica contradictio in terminis) il cui valore è sempre troppo implicito in album simili e quasi mai reso comprensibile a un pubblico nettamente più vasto di quello che sembra effettivamente avere. “The Golden Circle” è, in questo senso, un album comunicativo, d’apertura e introduzione. Un piccolo, grande esempio di bravura e passione.

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